Il mio tempo: 1977

 Il mio tempo: 1977 di D’Amato Giuseppina

Il mio tempo: 1977 di Giuseppina D'Amato
Il mio tempo: 1977 di Giuseppina D’Amato

Sinossi

I protagonisti de Il mio tempo: 1977 di D’Amato Giuseppina

Il mio tempo: 1977, romanzo storico contemporaneo, ha per protagonista Michela Visconti, una studentessa prossima alla Laurea in Psicologia all’Università La Sapienza di Roma. La sua esistenza ruota intorno allo studio e alle prime esperienze sentimentali, quando nella sua vita irrompe una misteriosa “biondina”.

Il Movimento del 1977

Nel romanzo storico Il mio tempo: 1977 di D’Amato Giuseppina, le giornate di Michela e dei suoi amici scorrono sempre uguali. Ma il Movimento del 1977 sconvolge le loro vite. Allora vediamo i giovani animarsi e lottare per la libertà e l’uguaglianza a fianco degli “attivisti” e degli “indiani metropolitani”. Anche Michela fa la sua parte. Prende parte alle manifestazioni per l’emancipazione femminile insieme alle femministe delle quali condivide principi e valori.

La trama del romanzo Il mio tempo: 1977 di D’Amato Giuseppina

La vicenda del romanzo è incentrata sul Movimento del ’77. Un periodo storico difficile, segnato da contrasti e scontri – talvolta violenti – fra studenti da una parte e politici e sindacati dall’altra. Questo è il momento che segna la perdita dell’innocenza per molti giovani. Alcuni imbracciano le armi, mentre i meno risolti scelgono la droga. Ebbene, ci si domanda: quale cammino imboccherà Michela? e i suoi amici quale via sceglieranno per il futuro?

Incipit del romanzo Il mio tempo: 1977 di D’Amato Giuseppina

“Il mille novecento settantasette fu un anno terribile per l’Italia e per molti studenti. Ma fu una data risolutiva per Michela Visconti” narra il romanzo Il mio tempo: 1977.

Sono in ritardo

“Sono in ritardo. Fuori tempo massimo. Caspita. Non ci sarà un solo posto, e dovrò ascoltare la lezione in piedi”, pensò, mentre beveva l’ultimo sorso di latte e caffè, che aveva preparato in gran fretta. Con gesti rapidi poggiò la tazza sul lavandino nell’angolo cottura del bilocale da studentessa universitaria fuori sede. Poi la risciacquò sotto l’acqua corrente.

I preparativi

Subito dopo, prese un blocco per gli appunti sullo scaffale della libreria ingombro di ceramiche dalle tinte intense. Lo pose nella capiente sacca di pelle appesa al pomello. Si sbrigò a togliere il pellicciotto di castorino sintetico dall’appendiabiti. Lo indossò, e chiuse gli alamari. Staccò la Tolfa e passò la tracolla sulla testa. “Ahia, accidenti”, imprecò, districando una ciocca impigliata nella chiusura metallica. Ciononostante sistemò il manico su una spalla e di traverso sul petto in modo da porre la Catana lungo un fianco.

Scese di corsa la rampa di scale

Nella specchiera vide i capelli annodati su una tempia, e un ciuffo dritto in aria. Indossare la borsa equivaleva a ritrovarsi arruffata o con qualche ciuffo strappato dalla fibbia. A rapidi tocchi sistemò la frangia e le bande laterali sulle spalle. La chioma incorniciò l’ovale del volto ancora acerbo in cui spiccavano i vivaci occhi verdi. Infine richiuse la porta dietro di sé, e scese di corsa la rampa di scale, prima di giungere al portone affacciato su Via dei Sabelli.

La folla

Uscì in fretta dal palazzo per recuperare un po’ di tempo. Doveva prendere gli appunti per l’ultimo esame prima della dissertazione. Era necessario passarlo, altrimenti avrebbe dovuto discutere la tesi alla prossima sessione di Laurea. Non poteva permettersi il lusso di temporeggiare. Desiderava terminare quel percorso e iniziare la specializzazione al più presto.
S’incamminò a rapidi passi, e proseguì tra la folla, urtando le persone.
«Scusi. Permesso», ripeteva, mentre proseguiva sotto gli sguardi degli uomini e dei ragazzi attratti dalla graziosa figura esile, ma di una morbida armonia. Per fortuna, abitava accanto alla sede del Corso di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma e, dopo una breve corsa, giunse sull’inizio della spiegazione. Giusto in tempo.

L’aula rigurgitava studenti

L’aula rigurgitava studenti, come aveva immaginato.
Adocchiò una seggiola libera vicino alla porta posteriore, e vi prese posto. Seguiva Organizzazione e gestione delle risorse umane, e prendeva appunti con la solita diligenza. Però faticò a concentrarsi, poiché lo studente vicino a lei si agitava. A un tratto, il tizio si voltò verso una biondina che stava in piedi sulla soglia. Le parve di vedere dei cenni d’intesa fra loro, ma vi diede scarso peso. Continuò ad ascoltare, nonostante l’irrequietezza del ragazzo.

La biondina

D’impeto, il tizio raccolse dal pavimento i propri libri e un eschimo dall’aspetto vissuto. Poi si alzò, e uscì, passando accanto alla Biondina. Allora la tipa, magra coi capelli dritti e lunghi sulla schiena, sedette accanto a lei. Sfilò dal collo la capiente borsetta con le frange, la poggiò per terra, e infine prese a scrutarla. Lo sguardo indugiava con strafottenza su di lei. L’evenienza la infastidì e incominciò a provare un certo imbarazzo misto a una inspiegabile inquietudine. 

Fobie sociali

Sentirsi minacciata o in pericolo, quando si aggirava per le vie intorno alla facoltà, era una costante. Negli ultimi tempi, ella sognava di venire accoltellata alle spalle da misteriosi soggetti incappucciati. Se ne curava poco e attribuiva i sogni e le sensazioni minacciose alle sue fobie sociali. Mentre il professore spiegava la Teoria della Gestalt, si volse verso la vicina. Poi accennò uno stiramento delle labbra senza sorriso, e la fissò con occhi piccoli e indagatori. Era una tipa interessante, si disse. L’aria assorta e misteriosa le conferivano un fascino particolare. Decise di salutarla per capire il motivo di tanta insistenza.

La conversazione

«Ciao», eruppe brusca. La tizia rispose.
“Mi pare di conoscerla. Non so chi sia esattamente, ma l’ho già vista in giro”, pensò. Intanto la memoria fotografica passava in rassegna i visi incontrati a mensa, alle riunioni politiche e ai collettivi studenteschi.
«È interessante la lezione», asserì la tipa convinta.
«L’argomento è complesso, ma degno d’attenzione», lasciò intendere che avrebbe voluto ascoltare il professore.
«Non riuscirò a preparare l’esame per il prossimo appello», comunicò la Biondina.
Le sfuggì lo scopo. “Che me ne frega”, le passò per la mente in un primo momento. Invece, domandò «Come mai?» Ma si trattò di pura cortesia. Forse la nuova arrivata era in vena di chiacchierare per solitudine o qualche altra ragione a lei ignota.
«Troppa roba da studiare. Ho poco tempo.» L’altra la scrutò. Il suo istinto rimosse il disagio, lo faceva sempre davanti alle situazioni ansiogene per buona educazione o evitamento.
«Hai problemi?, stai male?, lavori?» offrì una gamma di risposte che avrebbe voluto udire. Del resto molti studenti fuori sede erano costretti a lavorare per mantenersi agli studi.
«Mi occupo d’altro oltre lo studio. Sto per partire.» La spiò di sottecchi. Ma lei continuò a prendere appunti.
«Sono costretta a studiare. Voglio superare l’esame.»
«Così credi tu», disse la Biondina.

La minaccia

L’insolita replica la sorprese. Si stupì, convinta d’aver udito male. “Vaneggia a 70 gradi”, realizzò, l’aria impacciata, come quando le sfuggivano le situazioni.
«È l’ultima prova. Devo superarla. Altrimenti posso dire addio alla discussione della tesi la prossima sessione estiva. I testi sono già pronti. Devo farli correggere alla professoressa, e ricopiarli a macchina», quasi si giustificò. Non voleva sembrare un’arrogante con la pretesa di passare al primo appello, e a tutti i costi.
«Pensi di laurearti a giugno?» insistè la tizia.
«Sì», replicò in  tono perentorio. Si stava incavolando, e pensava “Ha rotto le balle.”
«Lo vedrai. Vedrai», minacciò la sconosciuta.
Si rabbuiò, le ciglia socchiuse. «Ma di che parli?» incredula, pose la domanda e attese una risposta, ma invano.

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