Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60

Il mio tempo: un'adolescente negli anni '60 di Giuseppina D'Amato
Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60 di Giuseppina D’Amato

Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60 di Giuseppina D’Amato

Il genere del romanzo. Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60 di Giuseppina D’Amato è un romanzo di “formazione” per Young Adults.

I temi. Innanzitutto, è importante riconoscere che il tema principale del romanzo Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60 è il mondo femminile degli anni del boom economico. D’altronde, affermare che il libro narra la vita e i sentimenti di ragazze, donne, madri e figlie è riduttivo dal momento che le vicende personali sono intrecciate alla società di quel tempo magnifico e di grandi cambiamenti. Dunque, è d’obbligo chiarire che il protagonista assoluto è prima di tutto il tempo e il clima sociale e politico che si respirava allora.

L’escamotage narrativo

Durante un trasloco, Cora, giovane restauratrice bresciana, trova nella soffitta della nonna un baule impolverato. Mentre lo svuota, rinviene due diari vergati da una calligrafia delicata e d’altri tempi. In principio, inizia a leggere più che altro incuriosita dalla scrittura elaborata. Però, dopo le prime righe, viene completamente avvolta nelle atmosfere degli anni sessanta.

I protagonisti

Piano piano, la lettura la trascina nella vita di Michela, una ragazzina di cui ignora la vera identità. Subito, si definiscono i piani e i tempi della narrazione, un racconto parallelo fra la vita di Cora nel nuovo millennio e le vicende di Michela ambientate nel recente passato. Lentamente, la lettura la condurrà alla scoperta dei segreti di Michela e dei suoi familiari.

I segreti delle donne

Contemporaneamente, Cora rileggerà alcuni episodi della sua vita e capirà i molti segreti femminili e la loro ragion d’essere. Donne di generazioni diverse sono dunque le affascinanti protagoniste del romanzo che si snoda tra flash-back e colpi di scena.

Romanzo storico

Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60 è soprattutto un romanzo “storico” poiché, sullo sfondo, si delinea l’affresco dell’Italia nel periodo del boom economico e dell’attuale società post-industriale.

Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60

Incipit

Scende la pioggia

Mercoledì, 2 novembre 1966

Mattina.

Piove. Da molti giorni, piove senza sosta.
La noia è devastante. Non ho nulla da fare. Uscire è impossibile: il cortile è un pantano.
Mi angoscio e sento un vuoto interiore. La pioggia, che annega il cielo e la campagna, m’inquieta e ne ignoro la ragione.
Ho deciso di scrivere, trascinata da un irresistibile bisogno di raccontare. Narrare è necessario per vincere questo tedio struggente.

Il quaderno

Pomeriggio.
Noi ragazze non possiamo uscire. Niente meno, dipendiamo dagli adulti in tutto. Quando ho saputo che l’istitutrice andava in centro, sono corsa su per le scale strette e buie e sono inciampata in un gradino: sarei caduta, se non mi fossi aggrappata al corrimano.
Mi sono precipitata in portineria, appena in tempo per fermare la signorina Mariella che stava già aprendo la porta. Al mio richiamo, si è girata, sorpresa di vedermi.
«Michela, dimmi», ha esclamato, mentre sollevava le sopracciglia sottili.
«Vorrei un quaderno», ho risposto.
«Come dev’essere?» ha chiesto brusca, senza togliere la mano dalla maniglia, come chi ha molta fretta.
«Alto e con la copertina plastificata», ho precisato.
«Va bene. Lo vuoi a righe o a quadretti?» ha aggiunto poi con un sorriso gentile. Ho sollevato una spalla e, increspando il labbro superiore, ho replicato «Fa lo stesso.»

L’istitutrice.

Quando ha strizzato le ciglia, le pupille sono diventate piccole piccole. «Per quale materia ti occorre?» ha voluto sapere.
La mia indecisione deve averla confusa. «Nessuna. Scriverò di me», mi è sfuggito. Poi mi sono pentita.
Lei ha spalancato le palpebre truccate con il kajal nero che sporca lo sguardo innocente. «No, non dirmi. Anche tu, il diario?»
«Sì», ho ammesso, seria. Ora, sorge il dubbio. «La sua era una domanda o una critica?»
Ha alzato il mento. «Che cosa scriverai?» ha chiesto, dopo.
A saperlo, ho pensato, abbassando gli angoli della bocca, l’espressione incerta. «Inizio prima di tutto con la cronaca della mia vita», l’ho sparata grossa.
Ha annuito, piccoli cenni del capo. «Vedrò d’accontentarti», ha detto, salutando con un gesto della mano. Infine, ha aperto l’uscio.
«Grazie, torni subito», le ho raccomandato d’impulso, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

La pioggia.

Allora, avrei voluto suggerirle di non fermarsi al bar a bere il caffè e a parlare dell’Arno, che va gonfiandosi di pioggia, ma lei era già sparita. Subito dopo, sono ritornata verso lo studio uno, rasserenata dal suo buon gusto. Mi sono aggrappata al regolo per non ruzzolare dalla scalinata.
Accidenti, è davvero pericolosa.
Prima di rientrare, mi sono attardata in veranda accanto a una delle numerose porte finestra. Rapita dall’acqua, ho osservato la cuoca mentre guadava la corte, un paio di stivaloni di gomma ai piedi, e poi si allontanava a passi lenti sotto la pioggia scrosciante.
Viene giù a secchiate, da ore e ore.
Ho fissa nella mente l’immagine della direttrice mentre, disperata, alza gli occhi al cielo e ripete «Ohi, il Signore Iddio s’è scordato di noi fiorentini.»

L’uomo, il bambino e il cane

Sera. 

Ricordo d’aver fatto un tema ricco di senso in prima media di cui ancora conservo la minuta.

È la mia prima storia.

Il tema.

«Oggi, compito in classe», disse la professoressa, togliendo dalla borsa tre fascicoli di prove.
«Ma non ci ha avvisato, prima», protestammo in coro. 

Ella indugiò un istante. Poi guardò da un angolo all’altro dell’aula e riprese a rovistare nella borsa. «Non importa. È un tema libero. Voglio vedere se avete fantasia», asserì. In quell’istante, tolse la mano dalla borsetta e posò sulla cattedra la temuta matita rossa e blu.
«Possiamo decidere l’argomento?» mi azzardai a domandare, vincendo la consueta timidezza: due ore di libera fantasticheria erano un invito a volare.
«Sì. Potete inventare una storia, una fiaba oppure descrivere una persona, un avvenimento», rispose, ravvivandosi una ciocca cotonata.
«Si può parlare di cantanti, film o della famiglia?» s’interessò la sgobbona, seduta accanto alla cattedra.

Le firme.

Lentamente, l’insegnante slegò dal collo il foulard “giardini di seta” e lo avvolse alla tracolla del bauletto Gucci di pelle scamosciata marchiata dalla griffe.
«Certo. Qualsiasi argomento va bene», affermò, mentre la bocca colore pesca si sollevava in un sorriso.
«Adesso, prendete due fogli protocollo, uno per la brutta, l’altro per la bella copia e iniziate», dispose, poggiando la borsa sul registro azzurro.
«Qual è la traccia?» insistè la prima della classe.
La signorina si sporse in avanti. «Scegli tu il tema», scandì in tono scocciato.
«E basta?» proseguì la secchiona.

La matita rossa e blu in azione.

A quel punto, l’insegnante, davvero spazientita, s’appoggiò allo schienale della sedia. «Sì. Infine date un titolo», ripeté, mentre distendeva l’orlo della gonna sulle ginocchia, i piccoli gesti nervosi. Esaurite le domande e le risposte, prese un plico, tolse la fascetta, distese i fogli con i palmi aperti e iniziò a leggere i compiti, mettendo segni rossi e blu qua e là.
Ora, tolgo il foglio piegato in due dall’antologia epica e inizio a ricopiare il testo.

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